Ha una forma schiacciata, un sapore intenso e un aroma di gran lunga superiore a quello delle mele moderne e mordendola potremo provare la stessa esperienza di un antico legionario romano, o quasi: le origini della Mela Rosa Romana, infatti, si perdono nella notte dei tempi e raccontano una storia millenaria per arrivare fino ai giorni nostri. Quasi completamente scomparsa oltre mezzo secolo fa, in tempi recenti è tornata ad apparire soprattutto nell’Appennino bolognese e oggi, grazie al CRPV - Centro Ricerche Produzioni Vegetali, all’Università degli Studi di Bologna, al GAL dell’Appennino Bolognese e a due associazioni di produttori locali, la Mela Rosa Romana è diventata protagonista del progetto MERR per il recupero e rilancio e oggetto di studio per lo sviluppo di nuove varietà resistenti al cambiamento climatico.
“La Mela Rosa Romana ha origine antichissima – afferma il responsabile CRPV per il progetto, Claudio Buscaroli – come confermato dalle indagini degli esperti di biologia molecolare dell’Università di Bologna, ed è stata coltivata fino alla metà del 1900 in particolare nell’appennino bolognese, prima di scomparire quasi del tutto con lo spostamento delle produzioni in pianura avvenuto a partire dal Secondo Dopoguerra. È un frutto diverso da quelli a cui siamo abituati: a differenza delle mele moderne è meno croccante e succosa ma ha un sapore e un aroma che colpiscono fin dal primo morso. Con il progetto MERR per il recupero e la valorizzazione di questo frutto antichissimo vogliamo accompagnare gli agricoltori nella riscoperta di un know-how perduto da oltre mezzo secolo e ridare vigore a una produzione di eccellenza, anche se di nicchia: l’interesse per i frutti antichi non è mai stato alto come in questo momento, complice la crescente attenzione alle produzioni sostenibili, alla stagionalità dei prodotti e a una territorialità fatta anche di tradizioni secolari”.
“Il recupero di un frutto storico come la Mela Rosa Romana – spiega il prof. Luca Dondini, docente di biotecnologia vegetale e pomologia dell’Università di Bologna e responsabile scientifico del progetto MERR – tocca aspetti di grande attualità: dalla tutela della biodiversità disponibile all’utilizzo di varietà antiche per il miglioramento genetico per ottenere nuove varietà che siano resilienti come le varietà che sono sopravvissute per migliaia di anni, adattandosi a climi mutevoli e imprevedibili. Fino a un secolo fa, la Mela Rosa Romana era la varietà dominante nell’Appennino bolognese: oggi, grazie al progetto MERR, vogliamo riscoprirla, rilanciarla e fare tesoro delle potenzialità che può esprimere quando coltivata nell’areale che, nella sua lunga storia, le è stato sempre congeniale”.
Protagonisti del progetto, insieme a CRPV e Università di Bologna, sono anche il GAL dell’Appennino Bolognese e due associazioni che raccolgono i produttori della zona di Vergato, di Sasso Marconi e di Marzabotto e aree limitrofe: “Grazie a un progetto di filiera 100% biologica e tracciabile – prosegue Buscaroli -, intendiamo affiancare i produttori lungo tutto il percorso produttivo: da un vivaio certificato che si accerterà della salute degli innesti, alla disponibilità di tecnici e ricercatori per seguire le coltivazioni, alle prove di trasformazione in succhi, distillati e marmellate, fino alla commercializzazione, grazie agli operatori commerciali coinvolti nel progetto. Le richieste, già in questa prima fase del progetto, sono di gran lunga maggiori del previsto”.
Fra gli obiettivi del progetto, nel lungo periodo, c’è anche quello di rilanciare l’agricoltura nelle zone montane: “In passato l’Appennino bolognese era ricco di coltivazioni non solo di mele ma anche di pere e di ciliegi – spiega Buscaroli -: confidiamo che il percorso di valorizzazione della Mela Rosa Romana sia solo il primo passo per il rilancio della frutticoltura di montagna”.
PERE “ANGELICHE” E “ABBONDANZE ROSSE”
Oltre al progetto MERR, l’impegno di CRPV per la tutela della biodiversità in frutticoltura si concretizza in numerosi percorsi di ricerca: “Insieme all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e all’Università degli Studi di Modena e Reggio UniMoRe – prosegue Buscaroli – stiamo conducendo diversi progetti dedicati a preservare la biodiversità attraverso il recupero di frutti antichi come la Pera Angelica, caratterizzata da ottime qualità organolettiche, la Pera-Limone del piacentino dalla caratteristica croccantezza e dalla lunga conservabilità, la mela Abbondanza Rossa dall’elevatissimo valore nutrizionale. Tutte queste varietà del passato – conclude Buscaroli – garantiscono un grande apporto di polifenoli, utili non solo come antiossidanti ma anche in virtù della loro azione anti virale. Possiamo imparare molto da questi prodotti e costruire le varietà del futuro ergendoci sulle solide fondamenta di frutti secolari, quando non addirittura millenari”.
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