RIPARTIRE DAL TERRITORIO PER LA NUOVA FILIERA DEL FUTURO

RIPARTIRE DAL TERRITORIO PER LA NUOVA FILIERA DEL FUTURO

Il racconto del webinar promosso dal Consorzio Parmigiano Reggiano sugli scenari che riguardano materie prime, energia e filiera. Tra gli ospiti, Tabarelli di Nomisma Energia.

lunedì 18 luglio 2022

Alti costi per l’energia e per le materie prime, e quindi di produzione, saranno la normalità anche per il prossimo futuro. È una situazione nuova, che pone interrogativi seri, drammatici in certi casi, per la tenuta di tanti distretti zootecnici. Ma questo è lo scenario con cui ci si deve confrontare.

 

Se è vero che per il Parmigiano Reggiano la situazione è meno critica che per altre realtà, è anche vero che l’aumento notevole dei costi di produzione registrato negli ultimi mesi nelle nostre stalle dimostra che non si può rimanere inerti senza porsi obiettivi di azione concreti, per creare una nuova base su cui consolidare l’attività dei prossimi anni.

 

Con queste finalità si è svolto il 6 giugno il webinar organizzato dal Consorzio del Parmigiano Reggiano, dal titolo “Scenari materie prime, energia e filiera Parmigiano Reggiano".

 

Tanti gli spunti emersi dalle varie relazioni. Si è partiti da una descrizione della situazione attuale riguardo a prezzi e prospettive per energia e materie prime zootecniche, per passare all’analisi di possibilità e azioni da farsi sul campo.

 

La relazione di Davide Tabarelli, di Nomisma Energia, non ha lasciato dubbi: il mondo ha fame di energia, usa e userà soprattutto energia di derivazione fossile e ne chiederà più di quanto essa è disponibile. Questo per ragioni estrattive e anche per le vicende legate alla guerra in Ucraina e alla volontà di affrancarsi dalla dipendenza dell’energia russa dell’Europa. Un quadro assai critico, dato che il nostro continente dipende in maniera insostituibile, nel breve periodo, dal gas (e in parte anche dal petrolio) russo.

 

Insomma: l’energia costerà molto anche in futuro, e sarà un problema soprattutto europeo creando un’asimmetria rispetto ai costi energetici di Usa e Cina, che restano assai distanti dai picchi europei.

 

 L’Europa ha però anche fame di materie prime per l’alimentazione zootecnica, dato che dipende in maniera importante dalle importazioni di mais e, soprattutto, di soia. E anche qui, come spiegato da Ester Venturelli di Clal, lo scenario è quello di prezzi alti e che si manterranno tali.

 

Negli ultimi anni le scorte si sono ridotte, è cresciuta fortemente la domanda della Cina e sono poi arrivati gli effetti destabilizzanti della guerra sui mercati internazionali: un mix che ha fatto salire alle stelle i prezzi. La domanda mondiale è elevata, c’è una previsione di minore produzione di mais americano, mentre maggiore è prevista la produzione di soia, anche se per quella brasiliana si scontano gli effetti di condizioni climatiche avverse causa la Niña.

 

L’incognita climatica è un elemento da tenere in considerazione con grande attenzione: il rischio siccità interessa ormai quasi tutto il territorio nazionale e tanta parte di quello europeo: la riduzione delle precipitazioni negli ultimi anni è preoccupante e pone interrogativi ulteriori sulle previsioni di produzione.

 

Tutto ciò significa che i costi di alimentazione per le aziende si manterranno alti. Il costo razione di oggi per una stalla da Parmigiano Reggiano, quindi senza insilati, è stato calcolato da CLAL come superiore di 8,8 euro/quintale di latte prodotto rispetto ai costi 2020. Un impatto notevole, con un dato tuttavia interessante: questo costo è stato calcolato per una stalla che abbia una disponibilità aziendale di foraggi del 50%. Laddove la disponibilità di foraggio aziendale arriva al 100% si abbassa di un euro al quintale il maggior costo di produzione da sostenere.

 

Quest’ultima osservazione ha illustrato una prospettiva che diventerà strategica nelle azioni per il futuro, e che in vario modo è stata ripresa dai relatori successivi, esponenti del mondo della mangimistica: Fausto Toni di Progeo, Stefano Villa di EmilCap e Roberto Zaupa di Veronesi.

 

Si deve lavorare per migliorare l’apporto che l’azienda è in grado di assicurare per l’alimentazione delle bovine, in termini di quantità e qualità. Servono foraggi di ottima qualità, ma servono anche razioni mirate alla massima efficienza e verifiche precise per evitare costosi sprechi (economicamente e a livello di impatto ambientale) in particolare di quota proteica.

 

Si deve lavorare anche per avere nelle stalle razioni meno legate ai vecchi standard mais-soia, con inserimento di materie prime alternative, meno soggette ai vincoli e alle fluttuazioni dei mercati, più legate al territorio e più adatte alle nuove situazioni climatiche.

E, ovviamente, si deve fare più foraggio, di migliore qualità, anche per ridurre le necessità di mangime acquistato.

 

Tutto ciò per un vantaggio a livello aziendale, certo, ma anche per un legame ancora più forte della produzione DOP con il suo territorio.

 

Questo concetto è stato ripreso dal presidente del Consorzio Nicola Bertinelli, auspicando un balzo in avanti nella capacità delle aziende di produrre energia, da fotovoltaico e digestione anaerobica, sfruttando tutte le possibilità offerte, ad esempio da PSR o PNNR.

 

Questo può essere il trampolino per rilanciare e accrescere (ad esempio con una maggiore diffusione degli essiccatoi alimentati a energie rinnovabili) quantità e qualità di foraggi per le aziende, unica via per tenere sotto controllo i costi di alimentazione.

 

Anche sul versante granaglie (cereali e proteaginose) si può fare di più e si deve farlo ora.

 

L’obiettivo strategico è quello di un comprensorio di produzione del Parmigiano Reggiano nel quale si riduca sempre di più la necessità di ricorrere alle importazioni e si produca in loco ciò che serve, con contratti di filiera che permettano di trasferire quote di valore ai produttori e mantenere ricchezza sul territorio.

 

Se per i foraggi l’autosufficienza non è lontana, per le granaglie il deficit è di circa 500mila tonnellate, a fronte di una necessità complessiva di circa un milione di tonnellate. Numeri importanti, ma che con un approccio di filiera possono essere considerati non così irrealistici, tanto più se combinati a una diversa modulazione delle razioni e a una ricombinazione dei mix di energia e quota proteica da nuove fonti, rispetto ai tradizionali mais e soia, per la maggio parte di importazione. Certo è impensabile sostituire tutta la soia e tutto il mais delle razioni, ma è realistico pensare metterne meno.

 

Del resto i tempi attuali e le criticità emerse reclamano decisioni veloci, passi decisi nella direzione giusta. E un approccio di filiera dal quale tutti hanno da guadagnare.