Pubblichiamo di seguito l’editoriale di Carlo Piccinini (nella foto), presidente Alleanza Cooperative Agroalimentari e Confcooperative Fedagripesca, apparso sull’ultimo numero della rivista specializzata Terra e Vita.
Sull’agricoltura europea si abbatte il ciclone degli obiettivi green fissati dalla Commissione.
Se non vengono efficacemente contrastate proposte normative come quelle sulla riduzione dei fitofarmaci, sugli imballaggi e sulle emissioni industriali, i cittadini europei rischiano infatti di veder crollare la produzione agricola interna, con un’apertura incondizionata all’import da altri Paesi, o a cibi sintetici che sono la negazione della nostra cultura e tradizione alimentare.
Dalle bozze di regolamento traspaiono infatti posizioni ideologiche lontane dalla realtà, che non tengono conto dell’enorme impegno già profuso dagli agricoltori per l’ambiente.
In un momento di così grande fragilità dell’economia europea, l’obiettivo della sostenibilità non può essere concepito come una crociata contro il mondo produttivo, senza alcuna seria valutazione dei danni economici e sociali che certe scelte andranno a causare.
Una parte della responsabilità è anche nostra: non abbiamo saputo contrastare quella deriva ecologista che ha conquistato larga parte dell’opinione pubblica e della classe politica, con una narrativa ostile che fa passare gli agricoltori come inquinatori che minacciano la salute dei cittadini. Oggi l’agricoltore europeo non è chiamato solo a produrre, ma anche all’ardua impresa di garantire prestazioni ambientali sempre più performanti.
Dimezzare l’uso di fitofarmaci è un obiettivo che sarebbe condivisibile: consentirebbe di ridurre un notevole costo per gli agricoltori.
Ma se non disponiamo di alternative altrettanto efficaci, dovremmo rassegnarci a cali produttivi generalizzati, dai cereali al vino passando per l’ortofrutta. Interi raccolti saranno in balia degli eventi e delle malattie e i produttori non potranno più garantire il loro ruolo di presidio a salvaguardia del territorio.
Prima che gli obiettivi europei si traducano in atti normativi, il legislatore deve poter disporre di una serie di dati scientifici rigorosi, per prendere decisioni razionali e informate. Soprattutto se queste decisioni sono destinate ad avere un impatto a lungo termine sulla capacità produttiva agricola europea.
Va rifiutata la logica del rilancio continuo sui tagli alla chimica: nessuna riduzione può avere senso se non si individuano le condizioni necessarie per accompagnare gli agricoltori nel percorso.
Con il divieto assoluto di utilizzo di fitofarmaci nelle cosiddette aree sensibili, avremo un impatto devastante, specie nelle regioni dove queste rappresentano oltre l’80% delle superfici, come Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia.
Anche sul benessere animale, le proposte a cui si sta lavorando, come quella di raddoppiare lo spazio tra i singoli capi, sono a dir poco lontane dalla realtà. La proposta di Direttiva sulle Emissioni Industriali è addirittura sbagliata nell’approccio, perché considera il settore zootecnico al pari di settori altamente industrializzati. Con ripercussioni insostenibili per gli allevatori.
La proposta infine di vietare l’utilizzo della plastica per le confezioni di ortofrutta fresca sotto 1,5 Kg, non tiene evidentemente conto delle ripercussioni negative in termini di sprechi alimentari.
Nessuno vuole arrestare il percorso virtuoso della sostenibilità: per vincere le sfide imposte dal cambiamento climatico serve però un rapido cambio di passo e scelte politiche coraggiose.
Favorendo ad esempio programmi di sperimentazione in campo sulle Tea, tecnologie di evoluzione assistita, e rimuovendo gli inspiegabili ostacoli normativi che impediscono il ricorso all’innovazione in agricoltura.